FIRENZE ROCKS – Tool + The Struts + dEUS; Firenze, Visarno Arena, 15.06.24: il nostro live report
LIVE LIFE
FIRENZE ROCKS – Tool + The Struts + dEUS – Firenze – Visarno Arena – 15.06.24
Parole di Stefano Cerati
Foto di Filippo Contaldo
C’è un caldo afoso ma non ancora insopportabile in questo sabato 15 giugno che vede il ritorno in Italia dei Tool nella stessa location, la Visarno Arena, per il Firenze Rocks Festival a distanza di cinque anni. Se allora i nostri dovevano ancora pubblicare il nuovo album, adesso sono ancora dediti alla promozione di quest’ultimo lavoro ed è questa probabilmente la ragione per cui questa volta suonano ben quattro estratti su dieci canzoni totali da quest’ultimo album. In definitiva però durante questi cinque anni non hanno suonato sempre i soliti pezzi, come dice qualcuno, ma i cambiamenti ci sono stati eccome tant’è che, se andiamo a confrontare le scalette del 2019 e del 2024 i pezzi suonati differenti tra l’uno e l’altro sono ben sette e considerando che i nostri ne suonano una media di 10-12 non è poca cosa, anzi è più di metà. Comunque la nostra serata viene aperta dai Belgi dEUS, un band che è ritornata sulle scene da non molti anni. che propone un indie rock a volte anche piuttosto rumoroso, ironico e trasversale con delle ritmiche che non sono sempre lineari. E’ una band a suo modo anche intelligente e complessa che ha un suo substrato interessante da proporre agli ascoltatori. Suonando nella giornata dei Tool sembrano molto più a loro agio con il pubblico che non la band che seguirà.
La band arriva dopo sono gli inglesi, però ormai trapiantati da anni in America, The Struts che alla fine suoneranno per circa un’ora e un quarto quindi un vero concerto completo visto che per questo festival, o meglio mini festival, ci saranno solo quattro band e noi siamo arrivati quando iniziava la seconda. Infatti The Struts suoneranno ben quindici canzoni. Il cantante si presenta in modo sgargiante sul palco con camicia aperta, pantaloni in colore rosso acceso e dimostra subito di avere un’attitudine glam molto pronunciata. La musica dei nostri è infatti puro hard rock, rock’n’roll che ricorda molto gli anni settanta e se possiamo offrire dei termini di paragone possiamo citare band come i più recenti The Darkness oppure i vecchi Mott the Hoople proprio per la voglia di mostrare quell’atto un po’ più sporco, sleaze, della musica ma anche ottime melodie vincenti. In effetti i nostri hanno canzoni molto orecchiabili piene di riff incisivi e di ritornelli che si ricordano immediatamente e che fanno cantare il pubblico ad esempio quello di Too Good at Raising Hell o quello di Kiss This. Poi il cantante incita il pubblico a volere essere protagonista, a volere essere una rock star, e perciò poi parte il pezzo omonimo poco dopo. Le canzoni filano via veramente in modo veloce, energico ed elettrico e la band dimostra di divertirsi sul palco anche ad onta di un caldo che, parliamo ancora delle 7 e 8 di sera, è ancora veramente molto forte. A voler ricordare le loro origini settantiane a metà concerto fanno anche una cover di Jumping Jack Flash dei Rolling Stones che si adatta perfettamente al loro stile. Il concerto prosegue con altri numeri veramente interessanti, divertenti come Wild Child o Pretty Vicious che è la title track dell’ultimo album dal quale purtroppo però hanno eseguito solo tre canzoni; ce ne saremmo aspettati alcune di più e alla fine il concerto viene concluso con dei classici che riconfermano la loro voglia di divertimento, il loro spirito sbarazzino e la loro energia inesauribile come Put Your Money on Me e Could Have Been Me.
Quindi è stato un antipasto decisamente gustoso, interessante anche se come stile è decisamente diverso da quello cupo, tenebroso, enigmatico ed esoterico dei Tool. A questo punto vale la pena ricordare che normalmente i Tool, quando suonano da headliner, (si può controllare tranquillamente su internet) suonano una media di 12 canzoni e due ore di concerto però, avendo iniziato alle 21.25 non potevano suonare fino alle 23.30 per via del coprifuoco che a Firenze era fissato alle 23.00 quindi viene raggiunto in pratica un compromesso. Suoneranno fino alle 23.10 per un totale di un’ora e 45 e dalla setlist toglieranno due canzoni. Una purtroppo è una grave perdita perché verrà eliminata Schism, l’altra invece si tratta di Chocolate Chip Trip, praticamente un assolo di batteria di Danny Carrey. Ancora oggi è difficile capire perché i Tool abbiano un successo così di massa visto che sono una band che non ha ritornelli, sono una band concettuale difficile che fa pezzi lunghi e complessi sia nelle strutture che anche tecnicamente e quindi è una band non di facile ascolto. Però se da una parte, per dire, The Struts sono una band che può assomigliare a cento altre, invece i Tool assomigliano solo a loro stessi. Forse questa è la loro forza vincente, aver creato negli anni uno stile magnetico mesmerizzante unico e irripetibile con cui riescono a catalizzare l’attenzione degli spettatori che cadono quasi in una sorta di trance durante tutto il periodo dell’esibizione. Il concerto comincia con Jambi, un estratto da 10.000 Days che apre le porte a un suono un po’ più caldo, più soul, anche tribale in cui si può già vedere dalla prima canzone l’eclettismo e la straordinaria capacità interpretativa e tecnica di Danny Carey probabilmente oggi il miglior batterista del mondo. Il set procede in modo molto organico con pezzi appunto lunghi avvolgenti come Rosetta Stoned e il prog psych di Fear Inoculum, come si è detto più volte, magnetici.
Il cantante Maynard Keenan per una volta non si nasconde troppo dalla folla, non rimane troppo indietro sul fondo del palco all’altezza della batteria ma viene anche davanti, si mostra al pubblico ed è una rarità anche il fatto che venga permesso ai fotografi di fare le foto a una band che da sempre fa del nascondersi una vera e propria arte. Il concerto è intenso e attraversa un po tutta la discografia dei nostri come detto privilegiando soprattutto l’ultimo periodo ed è veramente un peccato che da album eccezionali come Lateralus e Aenima vengano eseguite solo due canzoni, rispettivamente The Grudge e la potente Stinkfist che ricorda l’epopea grunge e alternative metal degli anni 90 ed è quella che chiude il concerto in modo deciso anche se Maynard ormai non urla più come una volta; non riesce più a salire su toni così accesi, acuti come faceva negli anni novanta, e quindi preferisce dedicarsi a fraseggi più melodici, più narrativi come nelle lunghe canzoni Descending e soprattutto Invincible che caratterizzato l’ultimo album e che vengono sempre eseguite. In conclusione possiamo dire che è stato un concerto bello ma non eccezionale. Personalmente questa era la decima volta che vedevo i Tool, la settima in Italia, e posso dire che la band americana rende decisamente di più al chiuso dove il grande impianto luci e tutti i suoi laser esoterici risaltano meglio, come ho avuto modo di ammirare nell’esibizione di Manchester del 2022. Anche il suono è veramente più heavy e più potente ma le limitazioni del centro urbano di Firenze chiaramente non hanno facilitato il fatto di poter dare ai Tool il suono che necessitavano per risultare così intensi come possono essere. Musicalmente sono sempre una band che non lascia nulla al caso; anche se molti pezzi lunghi sembrano improvvisati invece dietro c’è sempre una grande ricerca musicale, una grande preparazione perché i Tool sono una band che non sbaglia una nota, che esegue i pezzi esattamente così come sono stati concepiti come fosse un’orchestra che esegue un grande spartito di musica classica. Alla fine la loro musica ha un sapore quasi spirituale e liturgico proprio perché viene eseguita con una devozione totale allo spartito e a ciò che è stato scritto originariamente.
Ultima considerazione, esprimiamo il nostro disappunto e l’inadeguatezza per gli infami token, una cosa ormai assolutamente obsoleta in ogni paese. Non si usano perfino in Polonia, dove si poteva pagare con la carta. Mentre tutti oggi adottano comodi pagamenti digitali noi dobbiamo ancora destreggiarci con questi pezzettini di plastica che ci riempiono le tasche e che non danno mai un resto giusto. È una cosa inaccettabile per un paese che vuole essere all’avanguardia dei concerti come l’Italia e nessun’altra nazione che abbiamo potuto visitare negli ultimi anni dalla Francia, alla Germania, non parliamo dell’Inghilterra o degli Stati Uniti, ormai tutti accettano pagamenti con carta e delle transazioni in denaro e per non parlare dei token, non si vede assolutamente traccia. Speriamo l’anno prossimo di non doverci lamentare di nuovo di questo disservizio e che finalmente venga introdotto un pagamento elettronico per tutti.