EDDIE VAN HALEN – il ricordo di Rock Hard
ADDIO, EDDIE!
Di Maurizio De Paola
Eddie Van Halen se ne è andato a soli 65 anni, stroncato da un tumore alla gola contro cui stava combattendo da anni.
Con lui non se ne va soltanto un geniale chitarrista, ma un maestro indiscusso della musica rock e – non è azzardato dirlo – un vero e proprio emblema della cultura popolare del XX secolo.
Questo perché, alla pari di Jimi Hendrix e Ritchie Blackmore, nessuna persona al mondo che abbia mai preso una chitarra in mano può dire di non essere passato da lui.
Per molti il suo mito ruota intorno alla geniale intuizione del “tapping”(tecnica non ideata da lui, ma da lui resa celebre), ovvero l’abilità di picchiare con la mano destra sulle corde mentre la sinistra esegue veloci hammer-on e pull-off in modo da eseguire scintillanti e barocchi arpeggi tonali su tutta l’ottava desiderata. Un “trucco” la cui padronanza costituisce un passaggio obbligato, un obiettivo agognato ed un sogno proibito per tutti i chitarristi del mondo.
Come Hendrix ha fatto in modo che milioni di persone sognassero di imbracciare un chitarra e Blackmore ha dato loro il riff che prima o poi tutti hanno suonato (quello di Smoke On The Water), Eddie Van Halen ha fissato per tutti i chitarristi del mondo alle prime armi (e non) il primo vero grande obiettivo da raggiungere, l’estasi sonora indescrivibile che si prova nell’eseguire quello splendido trucco che sembra ampliare le possibilità della chitarra elettrica oltre l’immaginazione.
Ma Eddie Van Halen non è stato solo questo.
Eccezionale compositore e show man nato, con i Van Halen ha di fatto creato il suono dell’heavy metal americano degli anni ’80 sin dall’esordio del leggendario Van Halen (1978), con il magma di distorsione chitarristica (Eruption) che cita volutamente lo stesso ingresso di In Rock dei Deep Purple (l’intro di Speed King) ed apre una nuova era nella musica hard.
Il connubio con le altre anime dei Van Halen (il fratello Alex alla batteria, Michael Anthony al basso e la voce “negra” di David Lee Roth) è così perfetto da restare inimitabile. Senza eccessive sovraincisioni e senza effetti speciali, i Van Halen suonano come un’orchestra di puro rock voce-chitarra-basso-batteria e lo fanno senza porsi limiti, iniettando nel proprio sound blues, funky, bluegrass, rockabilly, country e qualsiasi cosa venga loro in mente, rendendolo comunque ed immancabilmente un brano-Van Halen e nient’altro.
L’enorme successo raggiunto dalla band tra le fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 (il primo album è stato per qualche tempo l’esordio più venduto in USA di tutti i tempi) iscrive per sempre i Van Halen nel regno del mito, dando il via libera ad un’intera generazione di emuli e discepoli che prenderanno il messaggio del maestro e lo porteranno su lidi ancora più lontani. Senza Eddie Van Halen, tutta l’esercito dei guitar-heroes degli anni Ottanta non sarebbe mai esistito. Elencare e celebrare i successi discografici della band oppure tutta le serie di innovazioni e creazioni tecniche (brevettò anche diversi accessori per chitarra), comunque, è un esercizio privo di senso in questa sede.
Quello che conta, purtroppo, è che da ieri 6 ottobre 2020 il mondo non ha più questo geniale precursore ad illuminarne le strade fatte di chitarre e suoni “impossibili” da riprodurre, sempre con il sorriso sulle labbra per l’immancabile felicità che dona quell’essere in perfetta sintonia con il proprio strumento musicale, felicità di cui Eddie Van Halen era l’emblema ideale.
Addio, Eddie. Ci mancherai.