BRUCE SOORD – l’intervista con Rock Hard a due settimane dal tour italiano!
I Pineapple Thief, una delle band progressive rock più amate dai fan italiani, vedono in Bruce Soord il proprio indiscusso leader. Nonostante ciò, anche il polistrumentista e produttore britannico ha sentito la necessità, dall’alto della sua posizione privilegiata, di esprimersi e proporsi come autore e performer. Il secondo album da solista del nostro simpatico interlocutore, intitolato Luminescence, è uscito lo scorso 22 settembre, ma il vero e proprio evento sarà il suo imminente tour italiano. Appuntamento il 5 ottobre a Bologna (Locomotiv Club), il 6 ottobre a Milano (Circolo Arci Bellezza) e l’8 ottobre a Roma (Auditorium Parco della Musica).
Quali pensieri e sentimenti hanno ispirato un disco quieto e prevalentemente acustico come Luminescence?
“L’intero concept dell’album ruota intorno a un approccio di tipo emotivo, che riguarda l’affrontare la vita moderna. È un argomento di cui tanti parlano, ed io ne sto scrivendo. Tutti stiamo lottando con quel tipo di visione esistenziale, una specie di necessità di trovare un significato e la pace interiore. In generale penso di essere un semplice ragazzo di famiglia, che guarda i suoi figli crescere. Ora ho una figlia di 4 anni che seguo ad ogni passo fin quando era neonata, e questo genere di esperienza ti entra dentro, in un modo o nell’altro. Guardi il mondo e penserai a cosa erediteranno le generazioni future. È tutta roba fantastica su cui scrivere delle canzoni, ma non riflette necessariamente la persona che sono nella vita reale. Sono un uomo positivo, che ama la vita. Ma quando si tratta di scrivere canzoni, i dubbi e le angosce rappresentano ciò che stimola davvero la mia ispirazione”.
C’è qualche particolarità che rende questo disco speciale per te?
“Nel mio nuovo disco solista, l’idea originale era che per ogni canzone avrei registrato l’ambiente dove mi trovavo quando mi è venuta l’idea iniziale. Ma in un certo senso l’idea si è evoluta fino al punto in cui, soprattutto quando sei in tournée, devi gestire molti tempi morti. Quindi, mentre aspetti che la troupe costruisca il palco e tutto quel genere di cose, vai a fare una passeggiata, inizi ad immergerti nell’ambiente locale, ovunque ti trovi. Ricordo che Find Peace, l’ultima traccia dell’album, nacque mentre ero seduto sulle rive del fiume Hudson, a New York. Me ne stavo lì con tutte queste persone anziane, e alcune di loro erano da sole, a guardare semplicemente il fiume. Nella canzone puoi sentire un aereo volare, ricordo di averlo registrato e di aver tirato fuori le parole e la musica solo in base al luogo in cui mi trovavo. È piuttosto suggestivo avere questo tipo di riferimenti. Personalmente, quando ascolto quel brano, è come se mi riportasse indietro al momento in cui ero lì”.
Che cosa ti aspetti da questo tour in solitaria?
“Non sono quasi mai stato in tournée come artista solista. Voglio dire, abbiamo fatto solo uno show nei Paesi Bassi. Ho un trio, formato da John Sykes al basso (anche lui membro dei Pineapple Thief, ndr) e dal batterista Tash Buxton. È bello dover uscire sul palco e pensare che saremo solo noi tre, super esposti. Non ho idea del motivo per cui mi sono preparato a farlo, perché è terrificante. Provo terrore anche quando con me ci sono i Pineapple Thief, ma è fantastico perché siamo tutti insieme e ci sosteniamo a vicenda; è come una coperta confortevole. Quando sei da solo non è così, ma mi sento abbastanza all’altezza della sfida. Quando è scoppiata la pandemia, ho organizzato qualche diretta streaming da solista perché pensavo, beh, sempre meglio di niente. E in un certo senso ho portato a casa una performance decente. Sedermi in una stanza, usando soltanto un pedale loop e una chitarra acustica sulla mia voce, è stato davvero molto soddisfacente. Mi è piaciuto. Quindi in questo tour cercherò di portarmi dietro quel tipo di mentalità”.
Quali pensi che saranno le differenze con uno show dei Pineapple Thief?
“È come un tour della vecchia scuola, con un budget molto più basso. Puoi sentire che il brivido degli esordi è ancora lì e non vediamo l’ora. Io e John viaggeremo su un grosso furgone per molti chilometri, circa 5000 miglia in totale: faremo il giro della Spagna, poi attraverseremo l’Italia e torneremo indietro. Nei tour di questo livello, fai molto più affidamento sulla troupe locale. Non possiamo permetterci di portare con noi tutto il nostro equipaggiamento. Voglio dire, con i Pineapple Thief abbiamo l’imbarazzo della scelta, abbiamo una bella crew ed è tutto fantastico, mentre questo sarà molto più faticoso e impegnativo, ma penso che sarà molto divertente tornare a farlo. Ricordo la prima volta che abbiamo avuto qualcuno che ci smontasse l’attrezzatura alla fine del set, ovvero la prima volta che non ho dovuto tornare timidamente sul palco e scollegare le chitarre. John disse che era semplicemente orribile e che il mio ego sarebbe aumentato. Gli risposi, sì, ma fa parte dello spettacolo. Il pubblico non vuole vedere il frontman che stacca e riavvolge i fili elettrici. Ora la pensa come me”.
E quali sono state, invece, le differenze in studio?
“Scrivere e suonare con i Pineapple Thief consiste in una vera e propria collaborazione, quindi gran parte di essa è fuori dal mio controllo, e questo mi piace. Mi piace il fatto che ognuno faccia ciò che vuole e che tutti portino qualcosa sul tavolo. Voglio dire, a volte ci sono un po’ di litigi e di compromessi, ma anche quelli determinano dove andrà a parare la canzone o il suono. In questo album solista, invece, sono solo io. In un certo senso, ho pensato che fosse giusto separare i due percorsi. In fondo, quando si tratta di me stesso, mi è permesso di fare tutto ciò che voglio. E quindi, è stato abbastanza intenzionale aver scritto le canzoni con una chitarra acustica, decidere prima di mantenere la forma piuttosto essenziale, anche se sotto ci sono ancora molti strati. Volevo rendere le canzoni piuttosto delicate. E poi sapevo che, se fossi andato in tournée, non avrei potuto portare in scena uno spettacolo dei Pineapple Thief, dove tutto il pubblico si alza in piedi. Sarà un’esperienza molto più dolce”.
L’ultima volta che hai fatto un bilancio della tua carriera, a che cosa hai pensato?
“È strano perché quando sei un musicista a tempo pieno, ed io sono molto fortunato ad esserlo, a volte diventa un lavoro. Ti svegli e pensi, oh, dovrei scrivere una canzone oggi. A volte entri in studio e scrivi una bella canzone, ma pur essendo soddisfatto, quella roba continua ad assomigliare troppo a un lavoro. Ed è allora che probabilmente le cose non funzionano così bene. Mi ricordo quanto fosse frustrante dover avere un lavoro giornaliero, perché ti divorava il tempo in cui avresti voluto fare solo musica. Ma la mia sensazione era che dovevi essere davvero fortunato per poter avere un lavoro quotidiano come quello di cantautore o musicista. Anche altre persone che hanno lavorato nel settore, come ad esempio Gavin Harrison (batterista di The Pineapple Thief e Porcupine Tree, tra gli altri, ndr), nei suoi primi anni era semplicemente un turnista che suonava dal vivo, e si manteneva così. Per non parlare di Steven Wilson, che all’inizio si manteneva costruendo librerie musicali, sai”.