THE CULT – Sesto San Giovanni, Carroponte, 27 luglio 2024: il nostro live report!
THE CULT, Sesto San Giovanni, Carroponte, 27 luglio 2024
Parole di Barbara Volpi
Foto di Davide Sciaky
Ci vuole tanta devozione per sfidare lo zanzarificio che è la spianata post-industriale del Carroponte nella melmosa serata di fine luglio, ma i fan dei Cult, i gggiovani degli anni ’80, sono tutti qui. Il combo formato da Billy Duffy e Ian Astbury non demorde, addirittura morde, e si presenta sul palco in ottima forma, con un Astbury di lungo-nero vestito, con la solita bandana da pirata incorniciata dalle trecce da Sioux (vedi mai a tradire il suo inesauribile amore per i nativi americani).
In The Clouds fa subito capire che il ragazzo sessantaduenne ha voce da vendere e che la sua performance vocale si prospetta pari al suo carisma, che resta inossidabile. La tensione è in crescendo con Rise e la sempre stupefacente Wild Flower, sostenute dagli incomparabili riff elettrici di Duffy. Mirror fa da specchio all’attitudine dell’ultimo album Under The Midnight Sun, che è pregno di riflessi esoterici perché il buon Astbury, si sa, è anche una sorta di sciamano, tanto che solo lui è stato voluto dai Doors per sostituire Jim Morrison (il nostro è anche un buddista convinto e da molti anni pratica la meditazione). Per restare in tema, allora, ecco The Witch, The Phoenix e a seguire Resurrection Joe, la melodica e acustica Edie (Ciao Baby), Sweet Soul Sister, Lucifer e l’incendiaria Fire Woman. Ian saltella di qua e di là e incita il pubblico: “Vi ricordavo più selvaggi a Milano. Sappiate che noi vi possiamo restituire solo ciò che voi ci date”, come a dire: siete delle amebe, datevi una mossa, ed ecco che esplodono Rain, Spiritwalker e l’incalzante Love Removal Machine.
Ciò che si ama dei Cult è anche il percorso della propria giovinezza: dal momento goth e new romantic dell’Inghilterra post-punk infarcita di ‘spleen’ anti-tatcheriano, fino ai fasti hard rock che hanno prodotto brani indimenticabili. Ad Astbury, anima in perenne stato di esplorazione esistenziale e artistica, il ruolo della rockstar è sempre andato stretto (si veda, per esempio, la sua collaborazione con una band underground come i giapponesi Boris), tuttavia egli ha imparato a giocare bene con il suo ruolo e con le aspettative altrui. Mentre vengono lanciate Brother Wolf, Sister Moon e She Sells Sanctuary egli introduce la band esordendo con un: “Alle percussioni John Tempesta, cognome italiano!” e poi continua: “Pagliacci! Io amo l’opera, amo Puccini e il mio sogno sarebbe cantare alla Scala di Milano. Vi amiamo. Siate amorevoli gli uni con gli altri”. La fenice lascia il palco pronta a trasformarsi per l’ennesima volta e ‘il culto’ non può fare altro che reiterare se stesso.