JUDAS PRIEST + SAXON + PHIL CAMPBELL & TBS – Forum, Assago (MI), sabato 6 aprile: il nostro live report!
Judas Priest + Saxon + Phil Campbell and the Bastard Sons – Forum – Assago (MI) – 06.04.24
Parole di Stefano Cerati
Foto di Davide Sciaky
Il concerto di sabato sera al forum è stato un vero e proprio evento, magari non nel senso oceanico che possiamo dare a raduni di massa come le 100.000 persone che vanno a vedere gli AC/DC o le 40.000 persone che vanno a vedere i Metallica, anche perché buona parte è un pubblico generalista, un pubblico rock, non metal. Certo ci sono anche i metallari ma la maggior parte delle persone che va a vedere quelle band ascolta un po’ di tutto, invece chi va a vedere i Judas Priest, i Saxon e Phil Campbell and The Bastard Sons ama l’acciaio britannico degli anni 80 e la New Wave British Heavy Metal, e infatti non è un caso se due degli album più famosi delle band che suonano questa sera sono British Steel dei Judas Priest e Wheels of Steel dei Saxon come a rimarcare proprio l’appartenenza a un genere che è duro a morire. Infatti stasera è stato l’ultimo waltzer, l’ultima grande fiammata di un genere antico, forse vecchio per qualcuno, perché anche a vedere il pubblico, la maggior parte dei 7-8 mila fan che sono venuti questa sera aveva un’età compresa tra i 50/60 anni, gente che se va bene ha iniziato a seguire i Judas Priest con l’album Painkiller del 1991 ma molti di loro hanno cominciato decisamente prima, appunto, quando è nato il movimento della New Wave Of British Heavy Metal. Quindi stasera è stato un po’ un raduno dei reduci, un raduno degli inossidabili, coloro che non vanno solo a vedere gli Iron Maiden, ma che vogliono giustamente tributare un riconoscimento a chi ha creato veramente questo movimento negli anni 80, lo ha reso così forte. Inevitabilmente questo sarà uno degli ultimi giri di giostra, se non l’ultimo, se non altro a questi livelli, anche se le band sono in ottima forma e hanno pubblicato recentemente degli album di ottima caratura. Però sia Biff Byford che Rob Halford sono nati nel 1951, hanno 73 anni, quindi è logico aspettarsi che la loro carriera sia ormai quasi al termine.
Alle 18.45 iniziano Phil Campbell and the Bastard Sons con un suono non all’altezza delle aspettative, decisamente più basso rispetto a quello delle due band principali.
Hanno solo 40 minuti a disposizione in cui tutti ci aspettavamo una setlist imperniata sui vecchi grandi classici dei Motorhead, invece dell’originaria band ne eseguono solo tre, Going to Brazil, Born to Raise Hell e l’immarcescibile Ace of Spades.
Sono stati ovviamente anche i pezzi che sono stati accolti più favorevolmente dal pubblico, a parte l’iniziale We’re the Bastards che cita appunto il nome della band composta dai figli di Phil Campbell.
Un’esibizione gradevole, però tutto sommato anche un po’ incolore, anche perché il cantante non ha una grossa personalità e i pezzi originari non sono poi favolosi.
Il tutto unito al fatto che non c’era un volume adeguato e che la band magari perdeva anche tempo sul palco per fare battute e presentazioni, non hanno reso il concerto memorabile.
Guardando invece i Saxon e la criniera ormai argentea di Biff Byford, si ha come la sensazione di trovarsi di fronte a un Highlander, perché veramente Biff ha un’energia inesauribile, canta, urla, salta, incita il pubblico, si muove da una parte e dall’altra del palco come se avesse veramente 40 anni di meno e questo fosse il tour della consacrazione della band. Invece è una grossa soddisfazione vederli su un parco così grande perché i Saxon in Italia non hanno mai suonato, a parte i festival, di fronte a un pubblico così grosso e quindi è stato un giusto riconoscimento anche per loro. Bisogna dire che il pubblico è stato molto generoso nei loro confronti e si è profuso in molti incitamenti, urlando più volte il nome della band, cosa che ha fatto veramente un sacco piacere ai ragazzi della band. Biff Byford ha preso la macchina fotografica e ha ripreso tutto il palazzo che lo acclamava. Da un punto di vista tecnico c’è da rilevare la nuova presenza alla chitarra di Brian Tatler, chitarrista dei Diamond Head, band co-eva dei Saxon dell’epoca della New Wave Of British Heavy Metal che ha uno stile molto diverso da quello del suo predecessore, lo storico Paul Quinn. Mentre quest’ultimo aveva uno stile molto più rozzo, più grattugioso, in qualche modo proprio più heavy metal, invece Brian Tatler ha uno stile molto più tecnico, più elegante, ma si è integrato decisamente bene nell’ossatura della band e sa come far rendere bene questi riff con potenza e ruvidezza. Del resto quando si ha un catalogo pieno di classici come quello della band inglese si suonano pezzi come 747, Strangers in the Night, And the Bands Played On oppure l’emblematica Wheels of Steel, Heavy Metal Thunder, Denim and Leather o l’arrembante Princess of the Night, si vince facile. C’è stato il giochino come era capitato in tutta la tournée, di far scegliere al pubblico quale brano suonare, la scelta era tra Crusader, Dallas 1PM e Strong Arm of the Law e ha vinto quest’ultima canzone. Da segnalare nella setlist anche due bellissime canzoni, la title track che ha aperto l’esibizione e anche Miss Guillotine, un pezzo veramente favoloso, fantastico, degno dell’epopea degli anni 80 che, se non fosse troppo tardi, potrebbe riportare veramente nelle classifiche anche la band inglese, che ha una qualità compositiva, un’energia veramente inossidabile, inattaccabile.
Passiamo poi agli headliner. Anche loro, i Judas Priest non avevano mai suonato in un posto così grande come headliner a parte i festival. Ed è una cosa che Richie Faulkner ha voluto sottolineare anche in un suo post il giorno successivo al concerto. E quindi vuol dire che alla fine tutti i vecchi fan della band, un po’ spinti dal successo del nuovo album Invincible Shield, e un po’ dal fatto che c’era questa accoppiata, anzi questo trittico con altre vecchie glorie della stessa epoca come Saxon e Phil Campbell, hanno fatto uno sforzo per riunirsi tutti sotto il palco ad acclamare i vecchi leoni. Infatti si sono visti fan venire da tutta Italia, ho incontrato amici che venivano da Roma, addirittura da Palermo, per assistere a quello che veramente si può considerare l’evento metal per eccellenza di quest’anno. Tuttavia, almeno a parere personale, i Judas Priest rispetto ai Saxon sono stati bravi ma non bravissimi. Anche la scaletta è stata buona ma non buonissima con una parte centrale che poteva essere anche migliorabile magari non suonando pezzi come Turbo Lover o la ballata Crown of Thorns dall’ultimo album che ha pezzi molto migliori. Ovviamente tutta la band si regge sul carisma, l’ugola ancora d’acciaio potentissima di Rob Halford che tiene su tutto lo spettacolo, non risparmiandosi mai. I chitarristi anche sono bravi ma a loro manca quel fascino, quella classe che avevano i vecchi originali K.K. Downing e Glenn Tipton. È inutile girarci attorno, ma questa band, pur brava, è una sorta di tribute band di se stessa e i nuovi chitarristi Richie Faulkner e Andy Sneap non possono rimpiazzare i veri chitarristi originali e questo nei nostri cuori, almeno nel cuore di chi sta facendo questa recensione, conta parecchio. La setlist comunque è stata decisamente interessante con tanti classici sciorinati come Breaking the Law, You’ve Got Another Thing Coming. mentre l’apertura era toccata a Panic Attack, che è stato il primo singolo tratto dal nuovo album anche se forse il pezzo più bello da Invincible Shield è proprio la title track, l’unico che potrebbe davvero diventare un classico e rimanere permanentemente nella setlist della band. Chiaramente l’ultima mezz’ora è stata quella di fuoco, quella in cui i nostri hanno prodotto tutta una grande serie di classici da The Green Manalishi a Painkiller fino Electric Eye, Hell Bent for Leather, Metal Gods e Living After Midnight nei bis. Questi ultimi due pezzi hanno visto la partecipazione straordinaria di Glenn Tipton sul palco che ormai si presenta sporadicamente a qualche concerto della band per suonare solo due canzoni perché la sua malattia, il Parkinson, non gli consente di fare di più. E comunque è stato un momento allo tempo stesso emozionante e anche un po’ penoso. Insomma, vederlo arrancare nascosto dietro un cappellino, facendo fatica, non potendo esprimersi al meglio delle sue antiche possibilità non è stato del tutto piacevole. Il concerto in sé per sé è stato buono, ma onestamente i Saxon hanno sprigionato più energia, più coinvolgimento anche rispetto al pubblico.
Tuttavia tutto il pubblico sarà ritornato a casa con la consapevolezza di avere assistito a uno degli ultimi grandi raduni di puro heavy metal in Italia.