THE CULT + THE DAMN TRUTH – il concerto di sabato 1 luglio al Pordenone Blues Festival nel nostro live report!
THE CULT + THE DAMN TRUTH
PARCO SAN VALENTINO – PORDENONE BLUES FESTIVAL
01/07/2023
Parole di Fed Venditti
Il ritorno degli enigmatici Cult sul suolo italiano è sempre una notizia di rilievo, soprattutto dopo aver pubblicato un album come Under The Midnight Sun, disco che dimostra, una volta di più, di come la rodata coppia Astbury/Duffy sia ancora in grado di essere attuale e di non vivere soltanto sulle glorie passate. Infatti, il disco ci svela un lato notturno e quasi cinematografico che in passato si era palesato solo a tratti, un lavoro che alle nostre orecchie suona come una immaginifica colonna sonora di un film del maestro David Lynch.
Appena arriviamo al Parco San Valentino, un’enorme area verde che accoglie il palco della manifestazione blues, veniamo travolti da una pioggia torrenziale. Il tempo di bere un paio di birre al riparo negli stand nella zona limitrofa, che ecco salgono sul palco i Damn Truth, giovane combo canadese di retro rock che strizza l’occhio a gruppi come i Jet e Blues Pills con una voce femminile che, vagamente, ricorda Janis Joplin. Non li conoscevamo, male, perché questi ragazzi possiedono una carica esplosiva notevole dal vivo, la cantante tiene in pugno il pubblico, che già dopo un paio di brani sembra conquistato dalla formula semplice e diretta dei Damn Truth, che ci deliziano con diversi estratti dall’ultimo Now or Nowhere. Non si inventano nulla di nuovo, ma quello che fanno, lo suonano con convinzione e onestà.
Dopo un’ora circa, si abbassano le luci sul palco, i fan spingono sotto palco ed ecco che parte un intro dal retrogusto tibetano, molto atmosferico. Si parte con la pesante Rise, tratta dallo sfortunato Beyond Good and Evil del 2001, Ian si presenta con una tunica nera da sciamano rock n roll e una bandana intorno al capo, come sempre ci mette due-tre brani prima di ingranare la quinta. Si prosegue con l’inno Sun King da Sonic Temple, il gruppo è affiatato anche se per la prima volta dopo anni c’è solo Billy Duffy alla chitarra in sede live, Astbury tormenta il suo cimbalo mentre saltella intorno all’asta del microfono. Incredibilmente dopo anni, i Cult decidono di pescare un brano eseguito poco dal vivo, King Contrary Man un pezzo in pieno stile AC/DC che ci riporta indietro ai fasti di Electric. Album che segnò la svolta epocale nel sound della band inglese, trasformandoli in bikers unti di gasolio e allontanandoli dagli albori goth dei primi due dischi.
La scaletta dei Cult è un vero best of, che dipinge tutte le diverse fasi che hanno attraversato Ian e Billy. Una coppia di artisti che ha sempre avuto il coraggio di osare, talvolta anticipare le mode, senza mai adagiarsi sugli allori. Avrebbero potuto continuare a sfornare delle copie sbiadite di Love, invece hanno rischiato, mettendosi sempre in gioco e producendo album fenomenali e poco capiti come l’omonimo disco del 1994 o il più recente Choice of Weapon. Il gruppo è affiatato e in alcune circostanze si lascia andare a delle lunghe jam, come nella splendida Sweet Soul Sister o nella tenebrosa The Witch con un John Tempesta che conduce le danze da dietro le pelli. Il concerto vola via, Ian interagisce poco con il pubblico, tra un classico e una chicca inaspettata come Aphrodisiac Jacket, nella lunga coda della performance la band cala gli assi per annichilire definitivamente il pubblico accorso. Duffy tira fuori la sua Gretch Falcon bianca e inanella i primi accordi di The Phoenix, mantra esoterico estratto dal monumentale Love, si prosegue con la elettrica Wild Flower e tutti presenti ballano trascinati da un fiume di emozioni.
Non piove più da un’ora, ma quando Ian canta l’inno generazionale Rain, ricomincia a piovere come se Ian avesse invocato Giove in persona in un rituale sciamanico dai sapori antichi. La band si congeda con She Sells Sanctuary, altro gioiello intramontabile dal capolavoro Love, cantiamo tutti a squarciagola il famoso ritornello prima che la band ci saluti tra gli applausi convinti del pubblico in estasi.
Un concerto che dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, quanto i Cult abbiano raccolto meno di quello che meritavano in carriera, una band che anche oggi insegna tanto a molti gruppi molto più blasonati, ma alla fine va bene così i Cult rimangono un tesoro per molti, ma non per tutti.