Obscura Doom Fest – Mu – Parma – 27.07.09

Obscura Doom Fest – Mu – Parma – 27.07.09

Di Stefano Cerati – foto di Stefano Cerati e Alessandro Previdi

Questo sabato a Parma si verifica un piccolo evento storico in quanto i seminali Coven, fondatori dell’occult rock nel 1969 assieme ai Black Widow, suonano per la prima volta in Italia e celebrano il mezzo secolo dall’uscita del loro terrorizzante album Witchcraft Destroys Minds & Reaps Souls. Purtroppo, causa pioggia, il festival non si può tenere all’aperto ma dentro la sala che è stipata di circa trecento persone che arriveranno alla spicciolata.

La serata viene aperta da due validissime formazioni doom italiane. I Black Oath si rifanno a un metal classico ispirato agli anni 80 rivisto però in chiave oscura e progressiva. La loro proposta per questo non risulta datata o revivalistica. I riff hanno la forza e la pienezza del metal classico ma la band ci mette del suo per sembrare un versione più doom e ossianica di King Diamond. Inoltre la presenza sul palco dell’ospite Elisabetta M. ha dato quel tocco gotico e leggermente più romantico alle composizioni che ne hanno aumentato il fascino notturno.

I romani Doomraiser ormai sono una formazione molto rodata e che si rifà in modo ancora più fedele dei loro predecessori a una forma classica di doom. I loro riff hanno la forza e pesantezza dell’heavy metal a volte vicino all’epica dei Candlemass. I nostri sanno disegnare paesaggi oscuri e stentorei grazie anche alla prestazione molto intensa e maschia di Cynar che non si risparmia arringando il pubblico e facendo headbanging con i suoi riccioli. La sua timbrica che in alcuni frangenti ricorda quella profonda di Danzig (non sarà un caso se indossa la sua t shirt) riesce a guidare in modo prepotente l’impianto frastornante dove anche BJ contribuisce allo spettacolo spostandosi lungo il fronte del palco con le sue pose plastiche e facendo le boccacce alle prime file.

Gli austriaci Our Survival Depends on Us sono un gruppo particolare e la bella sorpresa della serata. Tutti i microfoni sono agghindati con teschi e ossa e la band è vestita con abiti che richiamano un immaginario tra il cavernicolo e il post atomico, come una versione metal di Mad Max. Si muovono in modo lento, marziale e ipnotico e le tastiere contribuiscono grandemente a creare quel clima esoterico e pagano ben tratteggiato dalla musica. La band sembra pesare bene le note delle loro lunghe composizioni, dei viaggi mesmerizzanti che da una parte hanno un che di rituale e dall’altra uno spirito gotico antico. L’unica band che mi viene in mente come termine di paragone sono i primi Amorphis per la vocazione oscura, pagana e psichedelica. L’esibizione colpisce sia dal punto visivo che interpretativo e la canzoni affascinano per la loro bellezza antica e spirituale. Gli austriaci sembrano davvero posseduti da una forza metafisica mentre suonano.

Gli svedesi Demon Head vengono dipinti come una band occult rock ma alla prova del palco mostrano di essere invece una formazione molto metal con alcuni sfumature black nella chitarra. Il cantante riccioluto (abbastanza simile visivamente a un giovane Ronnie James Dio) si sbatte come un ossesso, occasionalmente anche alle tastiere. Sembra davvero indemoniato e si muove freneticamente in mezzo alle ombre e alle fioche luci del palco che lo fanno sembrare uno spettro. È lui, Saibot, il fulcro dell’esibizione che assume molti contorni gotici come se i nostri fossero la versione più metal di The Cult o dei Mission. I pezzi più interessanti sono gli ultimi dove la chitarra acustica affianca quella elettrica dando più spazio agli arrangiamenti prog e folk e quindi ampliando lo spettro emotivo della canzoni.

È passata da un bel pezzo la mezzanotte quando il palco viene preparato per i Coven con una grande bara, posta in posizione verticale, coperta da un telone, mentre prima dell’ingresso della band sul palco risuonano le note della litania di Black Mass che conclude il disco d’esordio. Oggi i Coven hanno capito che, nonostante la loro musica sia diversa, in definitiva soffice psichedelica californiana, il loro pubblico di riferimento è quello heavy metal e quindi la nuova incarnazione della band ha ispessito i suoni e cambiato gli arrangiamenti per presentare le canzoni della band in questa chiave. Fortunatamente, rispetto alla non esaltante prima volta in Europa vista al Roadburn, la loro coreografia è migliorata. Oggi i Coven mantengono quell’aura occulta e satanica più nei gesti e nella presentazione che non nella musica. Jinx esce dalla bara coperta da una maschera con i brillantini così come i suoi guanti e indossa un lungo velo che abbandonerà solo dopo alcune canzoni. Pare in forma, vocalmente intendiamo, e più propensa a dare tutta se stessa mescolando acuti isterici con melodie seducenti e inni occult rock che hanno fatto la storia di questa musica come White Witch of Rose Hall e la bellissima Wicked Woman. È un tuffo al cuore sentire intonare le note solenni e nerissime di Black Sabbath, cantata in modo scandito e ossianico. La band è giovane, motivata ed entusiasta e la sostiene alla perfezione nella sua celebrazione di un satanico rituale che prevede le corna che scambia con le prime file, le candele e il teschio che porta in mano per alcune canzoni. Finalmente tutto è come dove dovrebbe essere, o meglio come ci aspettiamo che sia la versione del nuovo millennio dei Coven, quella che ha un suono vibrante e potente ma è attenta a mantenere il fascino originario. Altri eccellenti estratti dall’esordio sono Choke, Thirst, Die, For Unlawful Carnal Knowledge, Dignitaries of Hell e Coven in Charing Cross mentre la chiusura è affidata a quella Blood on the Snow, insolitamente melodica e seducente che avrebbe potuto rilanciare la carriera dei nostri nel 1972. Oggi i Coven hanno ancora il loro spazio di culto nel panorama rock/metal e Jinx, a onta dei suoi 69 anni, portati magnificamente peraltro (ne dimostra venti di meno) è ancora una superba interprete del ruolo di grande sacerdotessa che lei stessa ha creato e che molte altre figure femminili hanno seguito nel nuovo millennio. Speriamo di poterla rivedere ancora in azione quanto prima.

Maurizio De Paola

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